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Analisi genetiche di trombofilia ereditaria

Le trombofilie ereditarie sono difetti genetici della coagulazione. Si definisce trombofilia un quadro clinico predisponente alla formazione di coaguli e di conseguenza di episodi trombotici. Si ha un evento trombotico, venoso o arterioso, quando il sangue (anche in piccole quantità) coagula all’interno di un vaso sanguigno, aderisce alla sua parete e lo ostruisce in maniera parziale o completa, impedendo il flusso del sangue. Il coagulo prende il nome di trombo.

Il Laboratorio Analisi Biomedicals si avvale di attrezzature all’avanguardia e esegue in sede test molecolari basati su Real Time PCR, gold standard per test genetici per screening di difetti genetici predispongono alla trombofilia ereditaria. 

BASI GENETICHE DELLA TROMBOFILIA EREDITARIA

Le varianti geniche oggi note responsabili di difetti genetici correlati a trombosi sono nella maggior parte dei casi delle mutazioni puntiformi ad un singolo nucleotide (SNP) che presentano una tale frequenza nella popolazione da essere considerate delle varianti polimorfiche. I geni in considerazione sono quelli relativi al FATTORE V, al FATTORE II della coagulazione (protrombina), il gene MTHFR (Metilen-tetraidrofolatoreduttasi) , il gene PAI-1,PLASMINOGEN ACTIVATOR INHIBITOR 1. Nella popolazione la maggior parte delle varianti genetiche si presenta in forma eterozigote, cioè i soggetti sono portatori di una mutazione in una delle due copie del gene; essi hanno una possibilità su due di trasmettere la variante genetica alla progenie, indipendentemente dal sesso. Gli individui in cui sono alterate entrambe le copie del gene sono definiti omozigoti. L’analisi del DNA permette di identificare gli individui portatori di una specifica mutazione, sia in eterozigosi che omozigosi.

FATTORE V

Il fattore V attivato è un cofattore essenziale per l’attivazione della protrombina (fattore II) a trombina. Il suo effetto pro-coagulante è normalmente inibito dalla Proteina C attivata. Del fattore V sono note 2 varianti geniche diffuse nella popolazione europea correlate alla trombofilia ereditaria.

          • mutazione R506Q o di Leiden: presente nel 3-5% della popolazione generale. Tale variante ha una frequenza genica dell’1,4 – 4,2% in Europa con una frequenza di portatori in eterozigosi in Italia pari al 2-3%; l’omozigosità per tale mutazione ha un’ incidenza di 1:5000. I soggetti eterozigoti hanno un rischio 8 volte superiore di sviluppare una trombosi venosa, mentre gli omozigoti hanno un rischio pari ad 80 volte. Tale evento trombotico è favorito in presenza di altre condizioni predisponenti quali la gravidanza, l’assunzione di contraccettivi orali (rischio aumentato di 30 volte negli eterozigoti e di alcune centinaia negli omozigoti), gli interventi chirurgici. In gravidanza una condizione genetica di eterozigosi per il Fattore Leiden è considerata predisponente all’aborto spontaneo, alla eclampsia, ai difetti placentari, alla Sindrome HELLP (emolisi, elevazione enzimi epatici, pastrinopenia. Tali manifestazioni sarebbero legate a trombosi delle arterie spirali uterine con conseguente inadeguata perfusione placentare. I soggetti portatori di mutazione del fattore V di Leiden dovrebbero pertanto sottoporsi a profilassi anticoagulativa in corso di gravidanza o in funzione di interventi chirurgici ed evitare l’assunzione di contraccettivi orali.
          • mutazione H1299R (HR2): Diversi studi mirati alla valutazione di una sua associazione con il fenotipo APC-resistance e con fenomeni trombotici hanno riconosciuto tale mutazione come un fattore di rischio protrombotico confermabile da un significativo abbassamento dei valori di APC-ratio in vitro e da un aumentato rischio protrombotico in quei soggetti che ereditavano in trans l’aplotipo e la mutazione Leiden. Inoltre soggetti con l’aplotipo HR2 hanno un aumento relativo della isoforma più trombogenica e glicosilata del FV (FV1)
FATTORE II – Protrombina

Il Fattore II della coagulazione o Protrombina, per azione del Fattore V viene trasformata in trombina che svolge un ruolo fondamentale nella formazione del coagulo.

La mutazione G20210A è presente nel 2-4% della popolazione. Provoca aumentati livelli del Fattore II (protrombina) funzionale nel plasma e conseguente aumentato rischio di trombosi, specie di tipo venosa. La frequenza genica della variante è bassa (1.0 – 1.5%) con una percentuale di eterozigoti del 2-3%. L’evento trombotico è favorito anche in presenza di altre condizioni quali l’assunzione di contraccettivi orali (da 15 a 30 volte). I soggetti omozigoti per la mutazione sono invece rari.

METILEN-TETRAIDROFOLATO REDUTTASI (MTHFR)

il gene MTHFR codifica per un enzima chiamato Metilen-tetraidrofolato reduttasi che catalizza la rimetilazione dell’omocisteina in metionina. L’analisi del DNA consente di identificare due varianti geniche del gene MTHFR correlate a trombofilia ereditaria. la mutazione C677T nel gene MTHFR che determina, specialmente negli omozigoti, una riduzione dell’attività enzimatica del 50% che, quindi, è meno efficiente, nel convertire l’omocisteina in metionina; questo comporta un aumento dei livelli di omocisteina nel sangue (omocisteinemia) e nelle urine (omocisteinuria), specie dopo carico orale di metionina. La frequenza genica in Europa della mutazione è del 3-3,7% che comporta una condizione di eterozigosi in circa il 42-46% della popolazione e di omozigosi pari al 12-13%.

Recentemente, una seconda mutazione del gene MTHFR (A1298C) è stata associata ad una ridotta attività enzimatica (circa il 60% singolarmente; circa il 40% se presente in associazione alla mutazione C677T). Questa mutazione, in pazienti portatori della mutazione C677T, determina un’aumento dei livelli ematici di omocisteina.

Livelli aumentati di omocisteina nel sangue sono oggi considerati fattore di rischio per malattia vascolare, (trombosi arteriosa) forse attraverso un meccanismo mediato dai gruppi sulfidrilici sulla parete endoteliale dei vasi. Inoltre in condizioni di carenza alimentare di acido folico la variante termolabile della MTHFR porta a livelli molto bassi l’acido folico nel plasma ed è pertanto un fattore di rischio per i difetti del tubo neurale nelle donne in gravidanza. 

PLASMINOGEN ACTIVATOR INHIBITOR 1 (PAI-1): mutazione 1-BP DEL/INS, 4G/5G

Il PAI-1(Inibitore dell’attivatore del Plasminogeno) è il maggiore inibitore del sistema fibrinolitico, ed è prodotto da piastrine, cellule endoteliali e muscolari della parete vasale. 

La presenza dell’allele 4G, nella maggior parte dei casi in eterozigoti 4G/5G, è associato a livelli sierici di PAI-1 più elevati rispetto a pazienti con polimorfismo 5G/5G, poiché aumenta l’attività trascrizionale del rispettivo gene. Elevate concentrazioni plasmatiche di PAI-1 sono associate ad un rischio aumentato per trombosi sia arteriose che venose in particolar modo in soggetti ipertesi e/o fumatori

A CHI E’ RIVOLTO IL TEST 

Lo studio delle varianti geniche correlate a trombofilia ereditaria è indicato in: 

          • Soggetti con precedenti episodi, o familiarità, di tromboembolismo venoso o trombosi arteriosa;
          • Donne che intendono assumere contraccettivi orali, con precedenti episodi di trombosi in gravidanza e/o poliabortività, con precedente figlio con DTN ( difetto tubo neurale);
          • Soggetti sottoposti a terapie farmacologiche a rischio trombotico;
          • Gestanti con IUGR, tromboflebite o trombosi placentare;
          • Soggetti diabetici, ipertesi e cardiopatici, con elevati livelli sierici di omocisteina e/o colesterolo

In tali situazioni la conoscenza della predisposizione genetica alla trombosi può fornire al medico elementi utili per una adeguata terapia preventiva. 

MODALITA’ DI ACCESSO

Il test effettuato nel nostro laboratorio comprende l’analisi delle 6 mutazioni illustrate ed è condotto su campione ottenuto da prelievo venoso. I nostri orari per i prelievi sono i seguenti: dal lunedì al venerdì dalle 7:30 alle 10:00, il sabato dalle 8:00 alle 10:00. Il test non richiede prenotazione né richiesta medica e il risultato è refertato entro 7 giorni

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Test genetico di predisposizione alla celiachia

A cosa serve il test genetico

Il test genetico di predisposizione alla celiachia permette la determinazione degli aplotipi HLA-DQ2 e HLA-DQ8 associati alla malattia celiaca.

La malattia celiaca è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino attivata dall’ingestione di glutine o proteine relazionate che si trovano nel frumento, nell’orzo, nella segale. Certamente è una delle malattie rare più prevalenti nella popolazione europea e nord americana con una frequenza di circa 1:100.

Genetica della celiachia

La sensibilità al glutine è determinata in prevalenza geneticamente. Infatti il suo carattere ereditario si manifesta con un aumento della prevalenza tra familiari (10-15%) e una concordanza del 80% tra gemelli omozigoti. La tipizzazione HLA nella celiachia è un test che valuta la maggiore o minore predisposizione di un individuo a sviluppare la malattia in base alla presenza/assenza di fattori di rischio. Nella maggior parte delle popolazioni studiate, il 90-95% dei pazienti è portatore dell’ eterodimero HLA-DQ2, codificato dagli alleli DQA1*05 e DQ81*02 in posizione cis (più comune nel centro e nel nord europa) o in posizione trans (più comune nei paesi mediterranei). Il resto dei pazienti (5-10%) presenta solitamente un secondo eterodimero, HLA-DQ8 (maggioritario tra pazienti indigeni del Sud America), codificato dagli alleli DQA1*03 e DQB1*0302. I pazienti non portatori di DQ2 o DQ8 possono presentare separatamente almeno uno degli alleli del DQ2.

Quando eseguire la genotipizzazione dell’HLA

– Esclusione della possibilità di essere affetti da celiachia. Se un individuo presenta sintomi che potrebbero essere indicativi di celiachia, ma la biopsia e la sierologia non sono conclusive, è possibile valutare la tipizzazione dell’HLA come ulteriore aspetto da valutare. I risultati di tale test possono sicuramente contribuire a scartare l’ipotesi di celiachia in individui che non ne sono affetti.

– Studio di familiari celiaci. Permette di conoscere quali familiari, sopratutto fratelli, presentano il rischio di sviluppare la malattia celiaca e quali no. In tal modo 1) sarà possibile eseguire un monitoraggio più esauriente degli individui che presentano i marcatori HLA e sorvegliare lo sviluppo di possibili sintomi indicativi di celiachia, il che permette di ridurre i danni dovuti alla diagnosi tardiva; 2) Sarà possibile evitare la ripetizione periodica delle analisi sierologiche nei familiari che non presentano i marcatori HLA.

L’importanza della gnotipizzazione dell’ HLA

La biopsia e i classici marcatori sierologici (anticorpi anti transglutaminasi, anti endomisio e anti gliadina deamidata), pur avendo una specificità ed una sensibilità pari quasi al 100%, risultano positivi solo quando la malattia celiaca è in corso. La genotipizzazione dell’HLA offre una risposta anche in assenza di sintomi specifici della malattia celiaca

Il test genetico HLA è eseguito nella sezione di biologia molecolare del laboratorio analisi Biomedicals, ha un tempo di refertazione di 7 giorni ed è eseguito attraverso estrazione del DNA da sangue intero, amplificazione mediante reazione a catena della polimerasi (P.C.R.) e rivelazione

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Intolleranza al lattosio: test genetico o breath test?

Cos’è l’intolleranza al lattosio.

L’intolleranza al lattosio è l’incapacità di digerire lo zucchero presente nel latte. Il lattosio è un disaccaride che prima di essere utilizzato dall’organismo deve essere scisso in due zuccheri semplici: il glucosio e il galattosio. Per effettuare questa operazione è necessario un enzima chiamato lattasi. Un deficit di tale enzima fa sì che il lattosio non idrolizzato, non potendo essere assorbito da parte dell’intestino e digerito attraverso la normale via glicolitica, raggiunga il colon esercitando un effetto osmotico che provoca richiamo d’acqua e di elettroliti nel lume intestinale, fermentazione batterica dello zucchero e formazione di gas come ad esempio idrogeno molecolare. I sintomi tipici dell’intolleranza al lattosio sono: diarrea o stipsi, meteorismo, crampi e spasmi addominali, nausea e vomito, spossatezza. La sintomatologia è dose-dipendente: maggiore è la quantità di lattosio ingerita, più severi sono i sintomi.

Test genetico.

Il gene LCT, localizzato sul cromosoma 2, codifica per l’enzima lattasi. Nel 90% dei casi la condizione di intolleranza al lattosio è riconducibile in Europa a due polimorfismi genetici: un polimorfismo T>C nella posizione -13910 e un polimorfismo A>G in posizione -22018, nella regione regolatrice del gene della lattasi (gene LTC). Quando presente in entrambe le copie del gene tale polimorfismo può portare ad una ridotta espressione dell’enzima nei microvilli dell’intestino tenue, e di conseguenza a una carenza di lattasi. Questa ridotta espressione fa sì che con il passare degli anni il lattosio sia digerito sempre meno. La trasmissione ereditaria di questi polimorfismi è autosomica recessiva, cioè solo chi ha entrambe le copie del gene mutate (omozigosi) è affetto da questo tipo di intolleranza.

Il test genetico per l’intolleranza al lattosio è eseguito nella sezione di biologia molecolare del laboratorio analisi Biomedicals, ha un tempo di refertazione di 7 giorni ed è eseguito attraverso estrazione del DNA da sangue intero, amplificazione mediante reazione a catena della polimerasi (P.C.R.) e rivelazione

Attenzione: un risultato positivo col test genetico indica una predisposizione alla intolleranza permanente al lattosio; tuttavia un risultato negativo non esclude una intolleranza secondaria e transitoria, riscontrabile con il Breath test.

Il test genetico sopracitato è consigliato in caso di:

  • Breath test al lattosio positivo

  • Sintomatologia sospetta (sempre riconducibile ad un’eventuale intolleranza al lattosio) che si protrae da tempo

  • Familiarità per intolleranza al lattosio

In queste tre situazioni è consigliato ed è MOLTO utile effettuare il test genetico per la ricerca dell’intolleranza al lattosio primaria e quindi permanente per tutta la vita. Insieme al breath test, fornisce una completa diagnosi di intolleranza al lattosio.

Breath test

Il Breath test, o test del respiro, consente la diagnosi della intolleranza al lattosio anche in individui non geneticamente predisposti. Certamente esistono condizioni o patologie che causano alterazione della mucosa intestinale con conseguente perdita di attività enzimatica. Per fare alcuni esempi infezioni batteriche o virali, parassitosi, celiachia, malattie intestinali infiammatorie (morbo di Crohn, colite ulcerosa etc.), trattamenti farmacologici o alcune condizioni post-chirurgiche. Tali condizioni sono causa della così detta intolleranza secondaria al lattosio.

Il test consiste nell’assunzione di 25 grammi di lattosio puro, nel campionamento di respiro ogni 30 minuti per 4 ore. In ogni campionamento sarà valutato il livello di idrogeno. I livelli di idrogeno in ogni campionamento saranno comparati con quello basale, cioè prima della assunzione della soluzione di lattosio. In caso in cui il lattosio ingerito non riesce ad essere digerito, sarà fermentato dalla flora batterica del colon con produzione di idrogeno, metano ed altre sostanze. L’idrogeno è riassorbito dal sangue e espirato dai polmoni.

Il Breath test al lattosio necessita di prenotazione. Per info su preparazione all’esame consultare la nostra guida agli esami al presente link oppure scarica l’allegato

Sebbene il breath test è il test diagnostico per eccellenza per valutare se è in corso o meno una intolleranza al lattosio, risultati negativi del test genetico sono importanti in quanto escludono che si possa andare incontro ad una intolleranza permanente al lattosio.

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